Testo approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine
ai sensi dell’art. 28, comma 6 lettera c) della Legge n. 56/89, in data
15-16 dicembre 2006.
Articolo 1
Le regole del presente Codice deontologico sono vincolanti per tutti gli
iscritti all’Albo degli psicologi.
Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza, e l’ignoranza delle medesime non
esime dalla responsabilità disciplinare.
Articolo 2
L’inosservanza dei precetti stabiliti nel presente Codice deontologico, ed
ogni azione od omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al
corretto esercizio della professione, sono punite secondo quanto previsto
dall’art. 26, comma 1°, della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, secondo le
procedure stabilite dal Regolamento disciplinare.
Articolo 3
Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento
umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo,
del gruppo e della comunità.
In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone
di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera
consapevole, congrua ed efficace.
Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto
che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella
vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori
personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare
l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la
fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli
utenti destinatari della sua prestazione professionale.
Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro
prevedibili dirette conseguenze.
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il
diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro
che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze,
astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni
in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato
socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.
Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e
rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.
Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso
cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con
chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è
professionalmente tenuto.
In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di
sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela
prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione
professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel
settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa,
pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata
competenza e, ove necessario, formale autorizzazione.
Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti
ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o
utente, aspettative infondate.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano
la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente
codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine.
Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle
tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è
perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle
valutazioni ed interpretazioni che ne ricava.
Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la
piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 7
Nelle proprie attività professionali, nelle attività di ricerca e nelle
comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché nelle attività didattiche,
lo psicologo valuta attentamente, anche in relazione al contesto, il grado
di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le
conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi interpretative
alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo, su casi
specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla
conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata ed
attendibile.
Articolo 8
Lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo della professione come definita
dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e segnala al
Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui
viene a conoscenza.
Parimenti, utilizza il proprio titolo professionale esclusivamente per
attività ad esso pertinenti, e non avalla con esso attività ingannevoli od
abusive.
Articolo 9
Nella sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare
adeguatamente i soggetti in essa coinvolti al fine di ottenerne il previo
consenso informato, anche relativamente al nome, allo status scientifico e
professionale del ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di
appartenenza. Egli deve altresì garantire a tali soggetti la piena libertà
di concedere, di rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso.
Nell’ ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare
preventivamente e correttamente i soggetti su taluni aspetti della ricerca
stessa, lo psicologo ha l’obbligo di fornire comunque, alla fine della prova
ovvero della raccolta dei dati, le informazioni dovute e di ottenere
l’autorizzazione all’uso dei dati raccolti. Per quanto concerne i soggetti
che, per età o per altri motivi, non sono in grado di esprimere validamente
il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potestà
genitoriale o la tutela, e, altresì, dai soggetti stessi, ove siano in grado
di comprendere la natura della collaborazione richiesta.
Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto dei soggetti alla
riservatezza, alla non riconoscibilità ed all’anonimato.
Articolo 10
Quando le attività professionali hanno ad oggetto il comportamento degli
animali, lo psicologo si impegna a rispettarne la natura ed a evitare loro
sofferenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non
rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto
professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o
programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli
seguenti.
Articolo 12
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a
conoscenza in ragione del suo rapporto professionale.
Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale,
anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e
dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta,
comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando
preminente la tutela psicologica dello stesso.
Articolo 13
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita
allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del
proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del
soggetto.
Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente
o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino
gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di
terzi.
Articolo 14
Lo psicologo, nel caso di intervento su o attraverso gruppi, è tenuto ad in
informare, nella fase iniziale, circa le regole che governano tale
intervento.
È tenuto altresì ad impegnare, quando necessario, i componenti del gruppo al
rispetto del diritto di ciascuno alla riservatezza.
Articolo 15
Nel caso di collaborazione con altri soggetti parimenti tenuti al segreto
professionale, lo psicologo può condividere soltanto le informazioni
strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione.
Articolo 16
Lo psicologo redige le comunicazioni scientifiche, ancorché indirizzate ad
un pubblico di professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da
salvaguardare in ogni caso l’anonimato del destinatario della prestazione.
Articolo 17
La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche attraverso la
custodia e il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni di
qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto
professionale.
Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque anni
successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto
previsto da norme specifiche.
Lo psicologo deve provvedere perché, in caso di sua morte o di suo
impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega ovvero all’Ordine
professionale.
Lo psicologo che collabora alla costituzione ed all’uso di sistemi di
documentazione si adopera per la realizzazione di garanzie di tutela dei
soggetti interessati.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il
più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del
paziente, del professionista cui rivolgersi.
Articolo 19
Lo psicologo che presta la sua opera professionale in contesti di selezione
e valutazione è tenuto a rispettare esclusivamente i criteri della specifica
competenza, qualificazione o preparazione, e non avalla decisioni contrarie
a tali principi.
Articolo 20
Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo psicologo
stimola negli studenti, allievi e tirocinanti l’interesse per i principi
deontologici, anche ispirando ad essi la propria condotta professionale.
Articolo 21
Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è tenuto a non
insegnare l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla
professione di psicologo, a soggetti estranei alla professione stessa, anche
qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche.
È fatto salvo l’insegnamento agli studenti del corso di laurea in
psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in materie psicologiche.
Articolo 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del rispetto
reciproco, della lealtà e della colleganza.
Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria
attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro
posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto
delle norme deontologiche.
Articolo 34
Lo psicologo si impegna a contribuire allo sviluppo delle discipline
psicologiche e a comunicare i progressi delle sue conoscenze e delle sue
tecniche alla comunità professionale, anche al fine di favorirne la
diffusione per scopi di benessere umano e sociale.
Articolo 35
Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo è tenuto ad
indicare la fonte degli altrui contributi.
Articolo 36
Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi
relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati
conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi
del loro decoro e della loro reputazione professionale.
Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi negativi siano volti a
sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi casi di scorretta condotta
professionale che possano tradursi in danno per gli utenti o per il decoro
della professione, lo psicologo è tenuto a darne tempestiva comunicazione al
Consiglio dell’Ordine competente.
Articolo 37
Lo psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti
delle proprie competenze.
Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario della prestazione
richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo propone la
consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro professionista.
Articolo 38
Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in
cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo
psicologo è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro
e della dignità professionale.
Articolo 22
Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa
professionalmente, e non utilizza il proprio ruolo ed i propri strumenti
professionali per assicurare a sè o ad altri indebiti vantaggi.
Articolo 23
Lo psicologo pattuisce nella fase iniziale del rapporto quanto attiene al
compenso professionale in ogni caso la misura del compenso deve essere
adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.
In ambito clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai
risultati dell’intervento professionale; in tutti gli ambiti lo psicologo è
tenuto a non superare le tariffe ordinistiche massime, prefissate in via
generale a tutela degli utenti.
Il testo unico della tariffa professionale degli psicologi, allegato sub
lettera A al presente codice, è costituito quale parametro per la
valutazione della misura del compenso richiesto ai sensi del comma 1 del
presente articolo.
Per ogni modifica o abrogazione relativa all’allegato sub lettera A sarà
competente il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ai sensi
dell’art. 28 comma 6 lett. G) della L. 56/89, con la procedura prevista dal
vigente Regolamento interno, senza l’obbligo di cui alla lettera c) del
medesimo art. 28 comma 6.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce
all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti
o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue
prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e
i limiti giuridici della riservatezza.
Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso
informato.
Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà
esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 25
Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e di
valutazione di cui dispone.
Nel caso di interventi commissionati da terzi, informa i soggetti circa la
natura del suo intervento professionale, e non utilizza, se non nei limiti
del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano recare ad essi
pregiudizio.
Nella comunicazione dei risultati dei propri interventi diagnostici e
valutativi, lo psicologo è tenuto a regolare tale comunicazione anche in
relazione alla tutela psicologica dei soggetti.
Articolo 26
Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi
attività professionale ove propri problemi o conflitti personali,
interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o
dannose alle persone cui sono rivolte.
Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere
interventi nei confronti dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità
Giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa comprometterne
la credibilità e l’efficacia.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto
terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla
cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento
della cura stessa.
Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare
altri e più adatti interventi.
Articolo 28
Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che
possano interferire con l’attività professionale o comunque arrecare
nocumento all’immagine sociale della professione.
Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici,
di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha
intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in
particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti
costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni
nel corso del rapporto professionale.
Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto
professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti
di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso
pattuito.
Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti
di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto
professionale.
Articolo 29
Lo psicologo può subordinare il proprio intervento alla condizione che il
paziente si serva di determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto
per fondati motivi di natura scientifico-professionale.
Articolo 30
Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata qualsiasi
forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni
professionali.
Articolo 31
Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono,
generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la
potestà genitoriale o la tutela.
Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma,
giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta
riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria
dell’instaurarsi della relazione professionale.
Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine
dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente
preposte.
Articolo 32
Quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione professionale su
richiesta di un committente diverso dal destinatario della prestazione
stessa, è tenuto a chiarire con le parti in causa la natura e le finalità
dell’intervento.
Articolo 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del rispetto
reciproco, della lealtà e della colleganza.
Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria
attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro
posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto
delle norme deontologiche.
Articolo 34
Lo psicologo si impegna a contribuire allo sviluppo delle discipline
psicologiche e a comunicare i progressi delle sue conoscenze e delle sue
tecniche alla comunità professionale, anche al fine di favorirne la
diffusione per scopi di benessere umano e sociale.
Articolo 35
Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo è tenuto ad
indicare la fonte degli altrui contributi.
Articolo 36
Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi
relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati
conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi
del loro decoro e della loro reputazione professionale.
Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi negativi siano volti a
sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi casi di scorretta condotta
professionale che possano tradursi in danno per gli utenti o per il decoro
della professione, lo psicologo è tenuto a darne tempestiva comunicazione al
Consiglio dell’Ordine competente.
Articolo 37
Lo psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti
delle proprie competenze.
Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario della prestazione
richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo propone la
consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro professionista.
Articolo 38
Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in
cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo
psicologo è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro
e della dignità professionale.
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione,
esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il
pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi,
opinioni e scelte.
Articolo 40
Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di
pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente comportamenti scorretti
finalizzati al procacciamento della clientela.
In ogni caso, può essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le
specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto,
nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di
trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dai
competenti Consigli dell’Ordine. Il messaggio deve essere formulato nel
rispetto del decoro professionale, conformemente ai criteri di serietà
scientifica ed alla tutela dell’immagine della professione.
La mancata richiesta di nulla osta per la pubblicità e la mancanza di
trasparenza e veridicità del messaggio pubblicizzato costituiscono
violazione deontologica.
Articolo 41
È istituito presso la “Commissione Deontologia” dell’Ordine degli psicologi
l’“Osservatorio permanente sul Codice Deontologico”, regolamentato con
apposito atto del Consiglio Nazionale dell’Ordine, con il compito di
raccogliere la giurisprudenza in materia deontologica dei Consigli regionali
e provinciali dell’Ordine e ogni altro materiale utile a formulare eventuali
proposte della Commissione al Consiglio Nazionale dell’Ordine, anche ai fini
della revisione periodica del Codice Deontologico. Tale revisione si atterrà
alle modalità previste dalla Legge 18 febbraio 1989, n. 56.
Articolo 42
Il presente Codice deontologico entra in vigore il trentesimo giorno
successivo alla proclamazione dei risultati del referendum di approvazione,
ai sensi dell’art. 28, comma 6, lettera c) della Legge 18 febbraio 1989, n.
56.